Se la coppia ha fatto ricorso alla pratica di donazione di embrioni il DNA non va fatto. Grazie alla memoria dell’Avv. Domenico Strangio del foro di Milano la coppia srilankese potrà portare in Italia il figlio minore: superati i motivi ostativi dell’Ambasciata d’Italia a Colombo per il rilascio del visto d’ingresso.
Lo straniero che vive regolarmente in Italia può richiedere il ricongiungimento familiare alle condizioni previste e disciplinate dall’art. 29 del Testo unico sull’immigrazione (D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e successivi aggiornamenti).
Si tratta di un diritto sacrosanto ed inviolabile che tutela l’unità familiare al fine di vedere il cittadino extracomunitario riunirsi con i propri familiari che si trovano nel paese di origine.
Viceversa qualora i familiari si trovino in Italia l’istituto previsto è quello della coesione familiare ai sensi dell’art. 30 comma 1 lettera c del T.U.I..
Le rappresentanze diplomatiche – consolari al fine di verificare con esattezza pari al 99,99% il legame parentale possono chiedere a campioni, sull’istanze presentate per il visto d’ingresso, la prova del DNA soprattutto in tutti quei casi in cui c’è una carenza documentale sul vincolo familiare.
Il test del DNA fa parte di un programma a livello mondiale voluto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e vede soprattutto coinvolti alcuni paesi dell’Africa (Kenya, Nigeria, Ghana) e in Asia (Bangladesh, Sri Lanka).
L’organizzazione che si occupa di questa procedura è l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) dove in Italia la sede è Roma ed è la principale organizzazione intergovernativa in tema di migrazioni facente parte del Sistema delle Nazioni Uniti.
Premesso ciò andiamo alla vicenda che vede coinvolta una coppia di cittadini srilankesi, i quali, non potendo avere figli, decideva di fare ricorso ad una doppia donazione di embrioni per non vedersi privati del diritto alla genitorialità.
Tecnicamente la pratica prevede che gli embrioni ottenuti dalla fecondazione vengono trasferiti alla paziente che porta avanti la gravidanza. Il trasferimento di embrioni donati è una tecnica di riproduzione assistita nella quale viene trasferito nell’utero della donna ricevente un embrione donato da un’altra coppia.
Successivamente alla nascita del figlio la coppia avviava la procedura di ricongiungimento familiare, nello specifico figlio e mamma devono ricongiungersi al padre residente in Italia e regolarmente soggiornante.
La Prefettura di Milano rilasciava regolare nulla osta al visto d’ingresso.
Tuttavia, però, dopo la presentazione all’Ambasciata d’Italia a Colombo del nulla osta per la richiesta di visto, gli istanti ricevevano sulla mail un invito dall’OIM a fare il test del DNA sul figlio e la moglie del richiedente.
Lo Studio Legale Strangio contattava l’ufficio unità ricongiungimento familiari dell’OIM di Roma e segnalava l’inutilità in questo specifico caso di procedere al Test del Dna per attestare il vincolo parentale.
Allo stesso modo veniva avvisata a mezzo mail la stessa autorità diplomatica – consolare di Colombo che però disattendeva in un primo momento le argomentazioni e procedeva alla notifica del preavviso di rigetto con la seguente motivazione: non risulta essersi sottoposto al test del DNA, la cui richiesta è stata effettuata nel 2022.
L’Avv. Domenico Strangio del foro di Milano, specializzato in immigrazione faceva pervenire nel termine di 10 giorni dal preavviso di rigetto una memoria articolata dove si specificava che il figlio nato da questa procedura di procreazione medicalmente assistita è riconosciuto a tutti gli effetti dalla legge come figlio della coppia senza possibilità di dubitare o mettere in discussione la relazione parentale con gli stessi e che è erroneo considerare l’impossibilità di sottoporsi al test del DNA come un rifiuto allo stesso, in quanto non si può negare in via di principio valore probatorio alla documentazione ufficiale dello status jiliationis proveniente dalle competenti autorità del paese di nascita dell’interessato (v. in particolare Cass. 367/2003, cit., 15580/2006, 15234/2013)
Nel caso di specie la coppia aveva tutta la documentazione della procreazione medicalmente assistita e l’atto di nascita del paese di origine.
A seguito della memoria l’Ambasciata d’Italia a Colombo, superati i motivi ostativi, faceva pervenire al mio assistito una richiesta di atto di assenso per il rilascio del visto al minore.
La famiglia potrà vivere insieme in Italia.
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